A Bunkyoku non vado quasi mai, ma spesso basta mezz’ora di treno in più per farmi rimanere adagiato al calduccio in qualche caffè di Minato a leggere. Oggi sono andato con N. a mangiare del sashimi in un posto abbastanza carino chiamato Yoshino, vicino al Korakuen, un parco meno conosciuto dei soliti Yoyogi o Shinjuku Gyoen.
Il Korakuen in autunno
Mentre immergo il sashimi nella salsa di soia, da un altoparlante parte un bel motivetto indie, che mio malgrado riconosco essere subito familiare. Si tratta di una di quelle ballate fine anni 00 che inneggiavano a un mood di eterno party universitario, Paris dei Friendly Fires. Nella mia vita già adagiata da quasi 40enne aziendale, che trova eccitante scrivere questo tipo di post il sabato sera a Tokyo, gli occhi mi sono un attimi arrossati, forse perché ho constatato in quel momento che avevo messo troppo wasabi insieme alla salsa di soia sopra quel maguro. O forse no.
Forse quella che avevo in gola era quella stessa nostalgia che mi ha fatto riprendere con la scrittura qui dopo qualche mese (giuro che ero impegnato al lavoro, giuro).
Che poi non sono rimasto sazio del maguro comunque, e non era il classico nodo alla gola. In una vita quotidiana pura, incontaminata, perfetta come un giardino giapponese, in cui il grigio ha dimenticato il calore e l’energia degli amici, a vote le emozioni sono solo materiali incrinati in una notte scura.
Circoscritto a tutti i tipici cliché dell’ “oh my god è il solito coglione che si emoziona coi ricordi dell’università”.
Trovo utile, ma anche poco romantico, come internet abbia permesso la possibilità di rimanere in contatto per sempre (finché non crepi) con tutti. Le ex (quelle che non mi hanno bloccato) sono sempre lì su instagram e non c’è un’idea di “fine” per le cose e le persone, lasciando tutto in sospeso, non terminato, eterno, come un quadro. E le cose non finite hanno ancora mille possibilità di essere cambiate, mille variabili da applicare. E mi impongo quasi sempre di non cambiare niente, come se evitassi di ritoccare quadri che ho dipinto tanti anni fa, in maniera ossessiva. Il mio amico Gabriele dice(va) che ogni volta che mi sento nostalgico degli anni universitari devo ripensare a me che vado a dormire nel mio letto da studente con il me studente presente, che potrebbe dire “ma che cazzo stai facendo qui? Lasciami in pace, vai via” (questo anche coerente con la mia immagine di fattone all’epoca).
“Mamma guarda c’è un tipo strano che si vergogna della sua nuova identità in Giappone e vuole fare vedere quanto è autentico, dice che era un fattone”. Ho da tanto tempo abbandonato la pretesa di essere coerente, dal momento in cui esco dall’ufficio.
Ma se penso all’ingenuità di quegli anni forse mi rendo conto che una differenza sostanziale c’è. Nel mondo dei veri adulti la realtà è più cruda, con diverse dinamiche lavorative e famigliari, ma soprattutto persone sostanzialmente mosse da interessi personali materiali. Il cash non era cosi importante prima, bastava fare dei lavoretti. Ora come pago il mio personal trainer e la donna delle pulizie (humble brag - ironic)?
Mi sono svegliato anche male, ho fatto anche sogni su amici persi o con cui ho perso contatti, per incomprensioni accadute all’epoca, o altre minchiate. Fantasmi del passato richimati in eco e assonanze di nomi e sillabe con musicisti che sono andato a vedere qualche giorno fa, ad esempio Andre 3000 (ragazzi se avete occasione dal vivo, nonostante il costo del biglietto, il concerto di New Blue Sun è molto valido, tipo viaggio psichedelico in una giungla equatoriale).
Il live é meglio del disco
Nei miei sogni i miei amici persi sono sempre arrabbiati con me, e son sicuro che sarebbe così anche nella realtà, o forse provano solo noia nei miei confronti.\
Che di base è stato tutto guidato dal desiderio di andare avanti e fregarsene del passato, paura di fossilizzarmi, in maniera molto cinica. Oppure semplicemente c’era l’impossibilità a stare fermo e la paura che le cose rimanessero le stesse e che senza cambiamento non ci fosse crescita. Purtroppo su questo ho avuto ragione.
Come questi autunni a Tokyo. E forse anche per questo l’autunno è la mia stagione preferita. Perché rappresenta il cambiamento, un cambiamento che è carico di energia (contrariamente a chi definisce l’autunno una stagione decadente). E forse per questo mi piace così tanto Tokyo, l’unico posto di cui non riesco ad avere la capacità mentale di crearmi una mappa mentale, perché cambia a una velocità e a un volume superiore della mia memoria.
Alcuni amici sono rimasti.
Se il cambiamento è energia, spesso il sorriso degli amici mentre ascoltavamo i Friendly Fires un po’ mi manca, in quella lunga estate degli anni universitari.
Alcuni amici non sono rimasti.
Questa è una sorta di una lettera di scuse per tutti voi.
D.